Alcuni personaggi di Comasira

Come in tutti paesi del mondo anche Comasira ha avuto, ha e avrà i suoi personaggi un po’ particolari. Personaggi che hanno fatto la storia di questo paesino e che ancora oggi vengono ricordati con affetto e simpatia dai figli e dai nipoti.

 el Lüis, chiamato da alcuni villeggianti  Signurin in quanto non era sposato  Teneva la contabilità della latteria , ma era nel contempo anche casaro e  segon Quando ritornava a casa un po’ alticcio per il troppo vino bevuto, metteva  sul fuoco il pentolino con qualche cosa da mangiare, poi non si ricordava più e bruciava tutto allora si sfogava prendendo a calci la pentola. Il giorno dopo lo si sentiva battere in piazzetta Santa Maria che risistemava la padella presa a calci la sera prima. Il  Gesöl del Lüis  la cappelletta votiva che si incontra entrando a Comasira arrivando da Taceno era sua, adesso è di proprietà della Maura sua nipote, era stato costruito alla fine dell’ ottocento per una grazia ricevuta dalla nonna del  Luis.

                                                Quei del segon

Quelli del segone, erano definiti così, quegli uomini che venivano chiamati dalle famiglie per tagliare e sistemare le travi dei tetti e che usavano delle grosse seghe che si impugnavano alle due estremità

                                                Pan vin e lüganeghin

                                               Giò züc sü züc

 Erano i detti di questi   segon  che se lavoravano presso una famiglia ricca e mangiavano bene allora andavano veloci dicendo pan vin e lüganeghin   pane vino e salsiccia se invece la famiglia era povera e mangiavano solo zucca, allora andavano piano dicendo appunto giò züc  züc     giù zucca su zucca

 el Caspita  era un forte bevitore di vino,come la maggior parte degli uomini a quei tempi, ma faceva il fioretto di non bere un goccio di vino nel mese di Maggio, il mese della Madonna e si atteneva rigorosamente a quel voto. Chiamato Caspita perchè era  sua abitudine intercalare in questo modo 

 el Cech  Si chiamava Sereno, ma vista l’imponenza della corporatura lo chiamavano Serenone, sua moglie Tilde la Serenina e suo figlio Serenino. Faceva i trasporti a dorso di mulo, da Bellano a Vendrogno, facendo una tappa d’obbligo all’osteria di Pradello, poi da Vendrogno a Comasira con  el traìn  una grossa slitta di legno trainata sempre dal mulo. Era solito portare un fazzoletto rosso al collo e quando gli offrivano del vino, in mancanza di bicchiere se lo faceva versare nel cappello di panno e lo beveva direttamente da lì e quello che restava sul fondo del cappello molte volte lo dava al mulo.

nonno Maron malato probabilmente di morbo di Parkinson, doveva essere imboccato per il forte tremore delle mani e per questo aveva una donna di Pagnona che gli faceva da serva  e gli dava da mangiare e da bere, ma quando andava al Circolo a bere, aveva nel taschino della giacca una cannuccia di gomma con la quale beveva il primo mezzo litro poi,  non aveva più alcun problema.

 el Ridolfo viveva di elemosina vagabondando per la Valsassina e il Lecchese. Si racconta che in un inverno particolarmente rigido, per il giorno di Natale non avendo assolutamente niente da mangiare, mise nella pentola il suo cane. Quando lo trovarono, morto, nella sua casa, indossava sette giacche e tre cappelli.

el Pess viveva un po’ ai margini della legalità e si arrangiava come poteva e quando i carabinieri lo venivano a cercare, lui si infilava su per il camino e scappava per i tetti del paese. Era però molto abile nel costruire gerli e cesti. Sua moglie lavorava alla filanda Gavazzi di Bellano

la Graziana era una zittella che viveva nella sua casa con molti gatti che accudiva con cura ma odiava i bambini e quando questi correvano per le stradine del paese giocando e gridando, lei prendeva  l’urinari   ( il vaso da notte) e gettava la pipì addosso ai piccoli.

el Paulasc  era non vedente ed era assessore al comune di Vendrogno.Sua sorella, non vedente anche lei non volle mai chiedere la grazia alla Madonna per paura di perdere la pensione di invalidità, puliva così tanto i paioli di rame,non sapendo se erano ancora sporchi, fino a farli brillare in maniera incredibile

Lui fu il primo ad avere il telefono pubblico. Era la fine degli anni ‘50

il Giuseppe e la Massima  lui da quando andò in pensione si dedicò all’attività di fabbro nella piccola cantina sotto casa, costruiva attrezzi da lavoro e batteva le lame delle ranze (falci) Lei era una donna minuta sempre vestita col costume tipico ol Stampàa ( come tutte le donne di allora) e si occupava della casa

La Bissana  chiamata così perché era molto alta e magrissima, filiforme come una biscia

 La Penagia anche quando era incinta fumava la pipa e si ubriacava quasi tutti i giorni addormentandosi poi sotto le piante da frutta. Quando partorì, diede alla luce un bambino di peso e dimensioni notevoli

La Guta  questa donna, era chiamata così perché  andava in giro sempre con il naso che le colava

i Scilap

 i Paltin

I Bòtoi

                                               I ME, I TO, I NOS

Bòtoi è un soprannome dato a una famiglia di Comasira. Nella storia di questa famiglia ci sono state vedove  con figli che si sono risposate con altri uomini vedovi con figli  e che poi hanno generato altri bambini………..da lì il detto I me I to I nos ( i miei, i tuoi, i nostri). 

Anche se non erano comasiresi è giusto ricordare quelle persone che conducevano una vita  itinerante e che facevano affari di paese in paese

Passava una donna che vendeva stoffe “a braccia” e le trasportava in due grosse ceste a tracolla tra una spalla e l’altra.

C’era poi il Cesare di Cortenova con un fagotto nero e anche lui trattava stoffe, era soprannominato de già che passi  perché continuava a ripeterlo in continuazione a tutte le donne che gli facevano magari degli ordini.

Il Gepo  di Taceno, lui barattava gli stracci a peso in cambio di elastico, frisa, tazze, un po’ di tutto insomma.

la quadregata  di Dorio viaggiava sempre con il suo compagno e due cani e  ogni due mesi passava da Comasira con la paglia e impagliava le sedie. Dormiva in stalle e ricoveri di fortuna.

C’era poi l’arrotino moleta che veniva spingendo una specie di carriola sopra la quale era montata l’attrezzatura per molare. Molava forbici, coltelli e altri attrezzi.

E’ importante ricordare che per comperare il bestiame bisognava interpellare il  marozè (negoziatore) che abitava a Taceno ed era chiamato el Magì.

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